Non solo prima squadra. Con il servizio di oggi iniziamo un focus molto approfondito anche sul settore giovanile: passeremo in rassegna tutte le nostre squadre, dai più grandi ai più piccini, proprio per descrivere «da dentro» la nostra grande famiglia calcistica.
L’articolo inaugurale è dedicato alla juniores regionale, guidata da un tecnico esperto e preparato come Pier Paolo Rossi: dopo più di un decennio al timone di varie prime squadre (Valsugana, Cadoneghe, Cavinese, Montà e VigoLimenese), l’allenatore rossobiancoblu ha lavorato per tre anni nel vivaio del Campodarsego conquistando un titolo regionale Giovanissimi. Quella appena iniziata è la sua terza stagione al comando della nostra juniores.
«Abbiamo un gruppo molto omogeneo, formato da uno “zoccolo duro” di 2003 e da un buon numero di 2004 – sottolinea il mister – Malgrado la decisione della Federazione di aumentare a otto i possibili giocatori “fuori quota”, abbiamo scelto di averne solo tre proprio per far crescere e maturare i più giovani. Obiettivi? Ci aspettiamo di disputare un buon campionato, possibilmente nelle zone alte della classifica, in modo da dare continuità all’ottimo percorso che avevamo intrapreso nella scorsa stagione».
Cosa significa, sul piano strettamente sportivo e psicologico, guidare una formazione juniores?
«È una categoria che mi piace molto, perché è stimolante l’idea di aiutare i ragazzi a provare il salto in prima squadra. Anagraficamente è l’età più delicata: di solito o riesci ad affermarti tra i “grandi” oppure tanti smettono. L’incognita più rischiosa, un po’ per tutti gli addetti ai lavori, è proprio legata alla disaffezione causata dalla pandemia. Anche noi abbiamo avuto un paio di abbandoni inaspettati: purtroppo il Covid ha spinto molti ragazzi a chiudersi in sé stessi e a staccarsi dalle passioni e dallo sport. Il primo obiettivo sarà esattamente questo: far tornare loro la voglia di giocare, di stare insieme e divertirsi. Per farli riflettere ho preso da esempio la vittoria dell’Italia agli Europei: a noi osservatori “esterni”, la Nazionale sembrava una squadra in cui tutti si volevano bene, a prescindere da chi giocava o da chi invece andava in tribuna. Essere gruppo è proprio questo: remare tutti insieme per raggiungere un unico obiettivo».